Valentina Vellucci, Associate Partner di Magilla e docente della nostra faculty, ci parla del recente caso di Gucci, della ricerca di fama e visibilità da parte dei brand, di digital marketing e newsjacking.
La fame di visibilità è senz’altro il tratto principale che ha segnato, nel bene o nel male, la commistione fra brand e digital marketing: l’azione di PR orchestrata in modo magistrale da Gucci, ovvero quella della presentazione della sua nuova modella Amir Armine Harutyunyan, incarna alla perfezione la volontà dei brand di varcare la sottile linea rossa fra business e paure personali. La continua ricerca di piattaforme nuove da esplorare, inoltre, con risultati spesso imbarazzanti su TikTok, dimostra una cosa sola: il marketing deve fare pace con la notiziabilità e imparare a sfruttarla a favore del proprio brand con un obiettivo.
Costruire un circuito virtuoso al servizio del business
Con l’esplosione dei social media, il marketing ha dovuto fare i conti con un middle funnel imprevedibile, ricco di “distrazioni”, strategie laterali e battaglie di cookie, data e banner iper invasivi.
Ora che i social media sono diventati parte integrante delle nostre strategie, dobbiamo ripensare il nostro modus operandi anche per la parte alta del funnel.
Da un lato, infatti, dobbiamo accettare che condividere contenuti on line vuol dire poterne perdere il controllo. D’altro canto, dobbiamo essere consapevoli che conoscere i social network ci può aiutare a usare la visibilità a nostro favore, per costruire in maniera corretta un circuito di brand awareness virtuoso, al servizio del nostro business. Un circuito che sia grado di dare un “perché” al nostro brand nei confronti della sua utenza. E non un semplice “ purché se ne parli”.
Ragionare per ecosistemi comunicativi
Questo è solo uno dei temi che sta segnando le nuove opportunità e tendenze del digital marketing. La continua evoluzione dei dispositivi digitali (dagli smartphone, alla realtà virtuale passando per la tecnologia wearable) non può non integrarsi con i mezzi di comunicazione più classici, ovvero televisione, radio e carta.
I brand che realmente evolveranno saranno quelli in grado di ragionare secondo “ecosistemi comunicativi”: ad esempio, l’ecosistema Facebook (Messenger, Whatsapp, Instagram, Audience Network) dovrà dare continuità dal punto di vista comunicativo e di misurazione a campagne stampa e radio. In questo modo, potrà garantire un presidio costante e massiccio del brand nei confronti del proprio pubblico e costruire quel circuito di awareness positivo.
Strategia e visione a lungo termine vincono sull’influencer marketing
Al di là delle tante morti digitali annunciate, quella di Facebook (che non muore ma al massimo acquista altre app), quella di Twitter (che sta ritrovando la sua linfa vitale attraverso gli zoomer), o quella della SEO, i brand devono sapere che non è solo la popolarità di un media a fare la differenza. È la visione strategica a lungo termine che determina ciò che si dovrebbe o non dovrebbe fare con le piattaforme che ci vengono messe a disposizione. Ad esempio, una razionale visione a lungo termine, dovrebbe capire che l’influencer marketing non può essere l’unica benzina di Instagram. L’influenza deve essere qualcosa che un brand esercita al di là di stories sponsorizzate e corpi filtrati oltre il limite dell’anatomia umana.
Il patto che i brand hanno stretto con Instagram per fare influencer marketing va rivisto: il potere relazionale non passa solo da un media, ma anche dall’universo valoriale del brand stesso. Le aziende devono essere in grado di ragionare sul lungo termine, per restituire al pubblico una visione critica della realtà, in cui l’influenza è acquisita per competenza e non per il semplice numero di follower. Ciò ridarà sostanza anche all’influencer marketing stesso, in grado di acquisire forme innovative al di là del tafferuglio di stories sponsorizzate che popolano il nostro newsfeed e iniziano a evocare la noia.
Guardare con occhi diversi la propria strategia e studiare nuovi approcci per raggiungere gli obiettivi di business non può prescindere dalla consapevolezza che l’awareness è e sarà sempre intrisa di conseguenze dirette sulla reputazione del brand.